San Vincenzo La Costa
Un primo documento su S. Vincenzo lo si trova fra le carte dell’Archivio Vaticano ed è del 1113 e si apprende che in questa data esisteva una località dal nome S. Vincenzo con una chiesa.
Un altro documento del 1138 parla di una donazione fatta al monastero di Paola riguardante il territorio di S. Vincenzo, che allora era territorio di Montalto. Erano quei tempi caratterizzati da una civiltà prettamente rurale e contadina e vi erano sul territorio abbazie basiliane che non erano grandi costruzioni, ma semplici abitazioni agricole dove si riunivano i votati alla vita religiosa con un monaco che veniva detto abate; quei monaci si dedicavano, oltre che alla preghiera, alla vita nei campi. Anche a S. Vincenzo vi era una abbazia basiliana. Un documento del maggio del 1235 è importante per capire l’evoluzione storica del Casale di S. Vincenzo, perché mette in risalto la raggiunta autonomia civile del casale. Nel 1357, Giovanna, regina di Napoli riconobbe S. Vincenzo libero e franco da ogni tributo.
Intorno al 1500 nel nostro territorio vi erano due piccoli casali: S. Vincenzo e Timpone che da quel periodo cominciarono a prendere l’aspetto di centri abitati. Il luogo era fertile e di ottimo clima e molte persone, provenienti da altri casali, vennero ad abitare qui. In questo periodo il territorio è amministrato dai Rossi; nei primi anni del secolo da Antonio Maria Rossi, poi da Scipione Rossi che ingrandisce il casale, quindi l’amministrazione passa ad Ottavio Maria Rossi, che sposa la figlia di Marcello Spinelli di Fuscaldo, a cui nel 1564 il Papa Pio IV aveva dato l’amministrazione dei territori del Monastero di Paola. Come feudo, il territorio del nostro comune faceva parte dei feudi dei duchi di Montalto Ferdinado D’Aragona e Pietro suo figlio e secondo lo storico Carlo Nardi dunque, questo territorio apparteneva a Maria D’Aragona duchessa di Montalto e non ai Rossi che, come amministratori, lo usurpavano. Vi furono, infatti, molte dispute fra i Rossi e i duchi di Montalto. Ottavio Rossi, nel 1598, rimasto senza figli, dona tutti i suoi beni alla Santa Casa dell’Annunziata di Napoli e, dopo la sua morte avvenuta nel 1611, le dispute continuarono fino al 1617, quando si raggiunge un accordo e la Santa Casa dell’Annunziata ha la podestà giurisdizionale e criminale. Nel 1735 la terra di S. Vincenzo con i casali Timpone e Palazzo e le foreste Cocchiano, Nigiano e Cannavori viene comprato da Don Matteo Vercillo e da questo momento la storia del nostro paese si lega a quella di questa famiglia, signori del territorio. I Vercillo abitarono nel “palazzotto” o “palazzo Rossi”, finché non ne costruirono uno nuovo. I membri di questa famiglia dimostrarono grande impegno politico nella lotta contro i borboni. Matteo Vercillo partecipò alle rivolte antiborboniche. Suo figlio Luigi, fu un grande patriota, lottò per l’unità d’Italia, conobbe Mazzini e i suoi meriti vennero riconosciuti da Casa Savoia. Egli era anche un letterato illustre conosciuto per la sua cultura. Morì a S. Vincenzo nel 1892. Da quanto detto, possiamo ricavare una breve sintesi: S. Vincenzo è stato quasi sempre un territorio aggregato al ducato di Montalto; era infatti uno dei casali di Montalto, assieme a S. Sisto, Vaccarizzo e Gesuiti. Nel 1855 diviene finalmente comune autonomo e furono annesse ad esso le frazioni di S. Sisto e Gesuiti. Occorre ricordare che, per disposizioni del governo fascista, nel periodo 1928-1936 ritorna a far parte del comune di Montalto assieme alle frazioni.
San Sisto dei Valdesi
San Sisto dei Valdesi è una piccola frazione del Comune di San Vincenzo La Costa in provincia di Cosenza; il suo nome trae origine da Sisto III, il Papa al quale fu dedicata l’ abbazia costruita dai monaci basiliani che giunsero in questo luogo per sottrarsi alla persecuzione iconoclasta di Leone III (VIII sec).
I valdesi giungono a San Sisto intorno al 1340, quando il posto era ancora abitato da pochissime famiglie cattoliche. A partire dal loro insediamenti, il territorio cominciò a popolarsi notevolmente e le terre, sottratte all’incuria, vennero presto coltivate laboriosamente.
Ma chi erano i valdesi?…
….umile gente che nella città di Lione aveva abbracciato con fede le idee cristiane “alternative” di Pietro Valdo (da qui il nome del movimento), il ricco mercante che, abbandonati gli averi in seguito alla propria conversione, decise di predicare il messaggio di Dio da laico, attraverso l’individuale interpretazione dei testi sacri. Un “sovversivo”, insomma, che mal tollerava i comuni precetti cattolici, l’eccessiva autorità e le ricchezze del clero, l’adorazione delle immagini e tutto quanto, in termini materiali, si frapponesse tra Dio e l’uomo. Presto Valdo, è facile a capirsi, attirò su di sé il monito e la preoccupazione della Chiesa che nel 1184 (Concilio di Verona), stabilisce l’espulsione di lui e dei suoi seguaci dalla Francia. Da qui, i “Poveri di Lione”, presero ad insediarsi in diversi punti dell’Europa centrale e meridionale. In Italia si stabilirono innanzitutto in Lombardia ed in Piemonte; proprio dalle località piemontesi d’ Angrogna, Bobbio Pellice, Villar Pellice, Luserna S. Giovanni e Torre Pellice discesero quei valdesi che edificarono e popolarono San Sisto. Dopo un lungo periodo oscillante tra una convivenza formalmente tranquilla col cattolicesimo ed i primi segnali di frattura arriva, inesorabile e spietata, la strage che nel 1561 annullerà quasi del tutto questa civiltà. Furono messi al rogo ed i loro corpi, una volta arsi, esposti per alcune vie del paese; la “Santa” Inquisizione compiva puntualmente, e qui in maniera totalizzante più che altrove, la propria missione antiereticale. Per i pochi superstiti la sorte non fu migliore: prima fatti prigionieri, furono poi sgozzati da un boia, insieme ai valdesi guardioli, sulla gradinata della Chiesa di S. Francesco a Montalto Uffugo, il feudo che contava come proprio casale anche San Sisto. Altre esecuzioni avvennero a Cosenza, dove la Piazza ora adiacente alla Soprintendenza per i Beni A. A. A. della Calabria, ri corda, con la propria intestazione, il luogo dei cupi eventi. Poche, ma molto significative sono, tuttavia, le tracce valdesi che ci rimangono e che rivendichiamo con orgoglio.
Gesuiti
Il paese è lievemente adagiato sulle montagne della Catena Costiera e, dall’alto dei suoi 600 metri domina tutta la media valle del Crati, mentre più in la, ad est si vede l’altopiano della Sila digradare lentamente verso Nord fino a congiungersi con le ultime propaggini meridionali del massiccio del Pollino che, nonostante disti da Gesuiti oltre un’ora di auto è visibile perfettamente, in tutta la sua mole, nelle giornate limpide e serene.
Da lontano il paese appare come una macchia di bianco in mezzo ai castagni, che sono gli alberi di gran lunga più numerosi in tutta la zona, mentre in basso, laddove la montagna declina dolcemente verso la vallata, con una pendenza che diventa via via sempre, più lieve non mancano le piantagioni di ulivi che, specialmente negli ultimi anni stanno aumentando a vista d’occhio in tutto il territorio cosentino.
La sua popolazione, molto diminuita causa della forte emigrazione, prima verso l’America e poi verso il Nord Italia, la Svizzera e la Germania, per via della vicinanza alla città è quasi esclusivamente occupata nel settore terziario; anche se il vociare delle anziane comari lungo “la Silica” , (la strada che inerpicandosi sul fianco della la montagna percorre tutto il paese), il suono frequente delle campane che scandiscono, secondo i ritmi della natura, il trascorrere del tempo, lo stormire dei castagni ad un minimo soffio di vento,danno, a volte, la sensazione di rituffarsi in un passato vicino, nel tempo ma ormai lontano, anche se, l’assenza di animali domestici per le vie la presenza per contro di auto e televisioni ci ricordano che siamo comunque nel 2000.
Il tracciato urbanistico è molto semplice, e segue,grosso modo il fianco della montagna con vicoli stretti e tortuosi, (di recente pavimentati con delle pietre), che si incrociano fra di loro e che acquistano un fascino del tutto particolare grazie a un’illuminazione soffusa attuata con delle lanterne poste, in sostituzione tradizionali lampioni, negli an goli più bui del paese.
Il paese, pur nella sua “piccolezza” ha una sua storia che inizia nella seconda metà del 1500 quando, in seguito alla persecuzione dei Valdesi nelle zone vicine furono quì mandati, per evitare la rinascita dell’eresia, i frati Gesuiti visto che erano loro, gli ambasciatori della fede che, nel corso del XVI secolo erano inviati in tutte le aree di “confine della cristianità”.
Di questa presenza rimane ancora un edificio, “Il Cortiglio”, un antico monastero posto proprio vicino l’attuale centro abitato, che prima si chiamava “Villa expulsorum” (Villa degli espulsi, un nome si origine incerta). La costruzione, appartiene a dei privati ed è ancora abitato da una coppia di anziani signori.
La posizione in cui si trova è invidiabile visto che domina ad Est tutta la vallata circostante che declina lievemente fra gli ulivi, a Sud è molto vicino al borgo odierno (a poche decine di metri dalle ultime abitazioni ); nonostante sia separato da questo da un burrone in cui scorre un piccolo ruscello secco d’estate, il Candeloro che partendo dal monte Luta va poi a confluire nel fiume Crati, è facilmente raggiungibile tramite un ponticello in muratura che congiunge i due colli, mentre a Nord e a Ovest c’è il bosco di castagne che ricopre le montagne della Catena Costiera.
Padre Bernardo Maria Clausi
Il Venerabile Padre Bernardo Maria CLAUSI nacque in San Sisto dei Valdesi (San Vin cenzo La Costa – Cosenza), il 26 novembre 1789. Entrò giovanissimo tra i Minimi, nel Santuario di Paola, ma per i moti rivoluzionari, fu costretto ad abbandonare il chiostro e prestare servizio militare. Tra i commilitoni esercitò un vero apostolato. Congedato, essendo stati soppressi gli Ordini religiosi si ascrisse al Clero diocesano, e, consacrato sacerdote, gli fu affidata la cura d’anime nella parrocchia del paese nativo. Ripristinati appena gli Ordini religiosi, tornò tra i Minimi, nel 1827. Morì il 20 dicembre 1849 a Paola. La fama della sua santità si diffuse rapidamente ovunque. Ebbe il dono della della profezia e dei miracoli, che operava specialmente mediante la <> che recava sempre con sé. Soffrì gravi aridità di spirito e vessazioni diaboliche. Leone XIII ne introdusse la causa di Beatificazione nel 1893. Giovanni Paolo II ne riconobbe l’eroicità delle virtù nel 1987.
Palazzo Miceli - San Sisto dei Valdesi
Palazzo Miceli è stato costruito tra il 1400 ed il 1500.
Dal XVI secolo in poi, appartenne a varie famiglie: i Caracciolo, gli Alimena… fino ai Miceli, nobili cosentini che lo acquistarono per abitarlo come residenza estiva. A metà degli anni ’80, a causa dell’incuria e dei danni provocati dal terremoto, il palazzo viene venduto dai Miceli al Comune di San Vincenzo La Costa che, assistito dalla Soprintendenza ai Beni architettonici, artistici e storici della Calabria, ha promosso e realizzato il recupero e il consolidamento dell’edificio. Ancora oggi, questo splendido palazzo rappresenta una delle più belle testimonianze storico-artistiche del comune e di tutto il territorio limitrofo.
Al piano superiore del palazzo si può visitare la mostra permanente ” ritorno a Gesuiti sculture, progetti e bronzi di Eduardo Filippo”. Il maestro è un importante scultore operante prevalentemente nell’arte sacra, è stato docente di scultura nei licei artistici di Reggio Calabria e Cosenza dal 1964 al 2008. Nato a Napoli con origini di San Vincenzo La Costa. Infatti il nonno Eduardo Filippo era chimico, farmacista e notaio a Gesuiti.
In ricordo delle sue origini ha donato un importante gipsoteca dei suoi originali alla comunità di Gesuiti.
Al piano inferiore si può visitare il museo valdesi e dell’arte contadina “Scipione Lentolo” dell’Associazione Culturale Femminile San Sisto dei Valdesi. Al suo interno sono conservati oggetti antichi che ricordano la tradizione valdese e l’associazione si impegna nella promozione.
Sempre al piano inferiore è ospitata l’Associazione di Padre Bernardo Maria Clausi. L’Associazione ha lo scopo di divulgare la figura di padre Bernardo e farne conoscere e apprezzare le virtù eroiche.
Museo valdese e dell’arte contadina "Scipione Lentolo"
Il museo è stato concepito e allestito sulla base di criteri non proprio scientifici. Si è operato per verosimiglianza tramite la riproduzione di ambienti domestici che rievo cano lo stile di vita dei contadini “di un tempo”. Il concetto temporale, qui, non trova una circoscrizione precisa e necessariamente riconducibile agli anni in cui i valdesi vissero e lavorarono a San Sisto. Nell’opera di ricostruzione ci si è basate sulla lettura e l’interpretazione della documentazione storica e sulla tradizione orale. Si è ragionato in termini di pertinenza credibile ma non assolutamente certa. Tuttavia, il lavoro che ne è conseguito è degno di grande attenzione e meritevole di plauso.Nel pratico: il museo si divide in tre ambienti principali.Taglio del nastro: La nascita del Museo Il primo “riproduce” una vec chia cucina: un tavolo antico, utensili d’ogni sorta e pannelli descrittivi fanno luce sul vecchio modo di vivere la cucina e preparare vivande. I reperti esposti, in questa come nelle altre stanze, sono originali. Non valdesi (è chiaro) ma di eguale dignità rappre sentativa. Segue, immediatamente attigua, la “rappresentazione” della stanza da letto. Anche qui campeggiano oggetti antichi e pannelli illustrativi. Immediatamente successiva, adiacente alla stanza da letto, è la sala che accoglie l’Erbario (una sorta d’ap pendice al museo): piante officinali e aromatiche, qui, sono state raccolte e classificate. È indubbio che i valdesi ne facessero un ricorrente utilizzo. Non è escluso che la natura delle piante utilizzate un tempo, nel corso dei secoli, sia variata di poco. Al piano in feriore, in un ambiente raggiungibile tramite le scale, sono collocati i reperti che rie vocano l’eccidio, dunque la morte dei valdesi. Qui stanno, debitamente protette da un’enorme teca, le ossa ritrovate tempo fa. Raccolti ed analizzati dal Cnr di Mangone, tali reperti ossei vengono attribuiti, con buona certezza, ai valdesi dell’eccidio sansi stese. Nella stessa sala sono conservati due anelli antichi: uno prezioso per manifattura e materiale, l’altro, seppure di maggiori dimensioni, risulta essere di minor pregio artigianale (la consulenza ci è stata offerta da un orafo attendibile e capace). È sempre qui che si trovano esposti documenti dell’archivio Vaticano e di quello di Napoli: si tratta degli originali che narrano dell’eccidio. Qui stanno anche i quadri di Francesco e Sergio Tutino che su tela hanno impresso i luoghi storici di San Sisto. Nello stesso ambiente trovano collocazione gli strumenti agricoli utili alla lavorazione dei campi ed i costumi valdesi che l’Associazione ha fatto confezionare da sarte locali sulla base di quelli visti in altri luoghi d’appartenenza valdese. Ovunque, in tutta questa parte di Palazzo Miceli dedicata al museo, sono esposti pannelli descrittivi utili a riassumere la storia valdese di San Sisto nelle sue parti più cruciali e significative.
Visita il sito dell’Associazione Culturale Femminile San Sisto dei Valdesi
Cappella privata all'interno della residenza Piro/Petrasso ex orfanotrofio San Vincenzo Martire
La cappella ospita spesso eventi della Pro Loco
Monumenti
Monumento ai caduti in guerra
(San Vincenzo la Costa)
Cristo
(San Vincenzo la Costa)
Statua San Francesco di Paola
(San Vincenzo la Costa)
Statua di Padre Bernardo Maria Clausi
(San Sisto dei Valdesi)
Monumento ai caduti in guerra
(San Sisto dei Valdesi)
Monumento commemorativo in ricordo del massacro dei valdesi
(San Sisto dei Valdesi)
Monumento dei caduti in guerra
(Gesuiti)
Chiese
Parrocchia San Vincenzo Martire
(San Vincenzo la Costa)
Chiesa San Michele Arcangelo
(San Sisto dei Valdesi)
Statua San Francesco di Paola
(San Vincenzo la Costa)
Statua di Padre Bernardo Maria Clausi
(San Sisto dei Valdesi)
Monumento ai caduti in guerra
(San Sisto dei Valdesi)
Chiesa dell'Immacolata
(San Sisto dei Valdesi)
Chiesa Madonna del Carmelo
(Gesuiti)